di Valeria Basciu – Lago Agrio
Forse ingenuamente, quando ho pensato all’Amazzonia mi è venuta in mente una distesa verde di montagne di alberi. Montagne come quantità non come dato di fatto. Eppure è davvero così. Te ne rendi conto se abiti in una città isolata a pochi km dal confine con la Colombia e quando ti metti in viaggio per raggiungere le località più a Sud vieni letteralmente inglobato dalla Natura. Lago Agrio è una cittadina situata nella provincia di Sucumbíos, una distesa di cemento circondata dall’imponente vegetazione amazzonica, che porta nel nome l’aria acre dello sfruttamento ambientale. I turisti qui sono solo di passaggio: si recano nelle zone più conosciute dell’Amazzonia ecuadoriana, come la meravigliosa riserva Cuyabeno.
Decidere di svolgere il mio Servizio Civile Universale in questo luogo di contrasti è visto dai più come una presa di coraggio, ma dal mio punto di vista si può ritenere veramente un atto coraggioso stare fermi in una situazione che incastra nella routine e non permette di seguire le proprie aspirazioni. È principalmente questo che mi ha spinta a partire, cercando di non ascoltare il rumore delle mie incertezze. Mentre cerco di fotografare mentalmente questo momento riflettendo sulla prima metà del mio servizio qui, mi accorgo che in questi sei mesi mi sembra di aver vissuto mille vite, che ho ritrovato o scoperto principalmente nelle altre persone.
Sono le vite celate dietro i racconti dei volontari che prestano servizio in altre associazioni con le quali collaboriamo: chi lavora per i diritti delle comunità colpite dalla contaminazione petrolifera, chi nell’accoglienza dei migranti e chi in supporto delle donne vittime di violenza. Queste entità rappresentano la volontà di pensare e concretizzare una realtà in netto contrasto con ciò che ci si palesa ogni giorno davanti: un territorio dove in troppi soffrono, in cui la ricchezza è in mano a pochi e l’abbondanza si manifesta nella violenza e nei crimini. Condividiamo la rabbia e lo sconforto dell’essere testimoni di una situazione complessa, in cui siamo coinvolti in prima persona, che ci fa sentire spesso impotenti. Ma ci avvicina quella voglia di esserci, semplicemente, mettendo in campo le nostre conoscenze, imparando dall’altro, ascoltando e ridendo insieme. Basta ricevere quel “grazie” che dà senso a tutta l’esperienza a far crescere la voglia di vivere questo stupendo paese, annerito dal fumo dei “mecheros” e dall’ instabilità sociale che lo ha portato alla deriva.
Questa è una delle tante contraddizioni di questo luogo, a partire da quell’oro nero che contamina il polmone verde del pianeta. Ed effettivamente l’odore del petrolio ti toglie l’aria: ripenso a quando, arrivata di recente in Ecuador, ho partecipato al Toxic Tour con la Scuola di Leadership socio ambientale (una delle linee di progetto in cui sono coinvolta) e posso ancora sentirne l’odore nelle mie narici solo pensandolo. Le mie mille vite emergono anche dalle voci di ribellione dei partecipanti alla scuola di Leadership, che risuonano in me nonostante il progetto sia giunto al termine a Settembre. Non vedo l’ora di riniziare: per me sono esempi di responsabilità sociale, lotta pacifica e cura delle proprie comunità che hanno scelto di dedicare il loro tempo per creare un futuro più sostenibile nella provincia di Sucumbíos, dai quali ho imparato tantissimo. Loro sono la mia speranza, così come gli altri beneficiari del progetto, desiderosi di sperimentare un’esistenza nuova che possa creare benessere per l’ambiente e le persone, lontana da un progresso economico per molti versi effimero e controproducente legato all’industria estrattiva.
Gli occhi luminosi ed entusiasti dei partecipanti alla Scuola di Campo Agricola, dove si è appreso circa le tecniche di coltivazione e produzione agricole sostenibili, che ci hanno sempre accolto nella loro “finca” e nella loro dimora con gentilezza e affetto. Senza dimenticare i caldi sorrisi degli studenti dell’Educazione Ambientale, la loro voglia di conoscere e invertire la rotta attraverso lo scambio di idee e l’impegno in prima persona nella protezione e conservazione della natura. Apprendo ogni giorno ad affrontare le avversità con il sorriso grazie alle persone con cui collaboro. Anche loro sono vittime di questo contesto così castrante che produce nelle loro vite e in quelle dei loro cari eventi drammatici, ma non smettono mai di dedicarsi al prossimo, di affrontare con ironia la vita qui che, come ci ripetono continuamente, è sempre al limite.
Nonostante tutto, mi sento fortunata e sono grata per l’esperienza incredibile che sto vivendo: essere qui è una scelta fortemente voluta, che mi regala ogni giorno un nuovo sguardo sul mondo, mi aiuta a conoscermi e a superare limiti e paure. Senza dubbio sfidante, perché ci si abitua ad una quotidianità che senza alcuno scrupolo mostra le ingiustizie perpetrate, che per un lato dà a chi sa ricevere e dona bellezza a chi sa vederla, ma dall’altro toglie linfa a quell’attitudine propositiva senza la quale è impossibile essere di supporto per sé stessi e per gli altri.
Anche per questo trovo rifugio nel viaggio, nella scoperta di nuovi luoghi, culture e tradizioni: ho il privilegio di vivere nel paese dei quattro mondi, dove la diversità a partire dalla natura contagia ogni suo angolo. Di tutti i paesaggi che hanno incontrato i miei occhi fin’ora, quello che mi ha fatto innamorare è l’Amazzonia. Come scrivevo al principio sono colline e montagne che ti circondano imponenti e creano vorticosi Canyons dove fiumi scorrono ininterrottamente, scontrandosi spesso con la roccia e dando vita a delle cascate mozzafiato che si riposano ai loro piedi. Però se ti trovi su un bus in Latino America il fiato ti viene mozzato anche dalle strade dissestate e dagli scossoni che ti risvegliano un po’ dalla meraviglia e ti fanno tornare coi piedi per terra. La stessa terra dove mettono radici piante di diverse specie e tonalità di verde tra le più disparate, che variano per forma e dimensione: non riesco a smettere di osservare e stupirmi di fronte a quelle fogliolone verdi brillanti e giganti che mi ricordano quanto l’elemento terra dipenda dall’acqua per crescere così tanto. L’Amazzonia, foresta pluviale per l’appunto, è forse più blu che verde.
Ogni tanto un gruppo di palafitte distoglie la mia attenzione, specie quando sullo sfondo vedo innalzarsi un maestoso vulcano. Non so quale dei tanti sia, visto che internet è assente e non posso controllare su Maps. Provo a fotografarlo ma vengo nuovamente ingoiata e sputata da pareti di alberi di cui non si scorge la vetta che tolgono luce al Sole. Mi chiedo come le comunità indigene possano vivere così isolate e preda di una Natura viva e potente, poi penso che forse sono io a sentirmi inutile e piccola di fronte a lei e mi accorgo che gli scossoni che strattonano il mio corpo lo fanno anche con la mia anima. Magari le persone del posto non si sentono preda, probabilmente hanno imparato a conviverci, si sono adattati e ora sono grandi quanto lei. La natura sa dare il silenzio per cercarti e il coraggio per comprendere le tue paure, ciò può essere molto scomodo e debilitante e bisogna in qualche modo farci pace se ti ritrovi costretto a conviverci.
Terrore degli strapiombi, senso di virtigine e paura di affogare… anche in quei torrenti di pensieri che possono intrappolarti nelle insicurezze. Ma l’Amazzonia, giorno dopo giorno, mi insegna che è possibile nutrirsi di quell’immensità mobile, a volte trasparente a volte sporca, che con costanza sa levigare la pietra diventando montagna: espressione di grandezza, resistenza e centratura.