di Cristina Lemmo. Tena, capital de la Wayusa y Canela. Queste sono state tra le prime parole che ho letto quando ho scoperto che avrei passato un anno nella cittadina di Tena, ma il loro significato non mi è stato davvero chiaro fino al momento in cui ho messo piede su suolo ecuadoriano. La wayusa è infatti una tipica bevanda energizzante consumata durante tutto l’arco della giornata e che si ottiene dall’infusione delle foglie della pianta omonima, può essere consumata solo con zucchero o con aggiunta di limone e canela amazzonica.
Quest’ultima, anche detta Ishpingo in lingua kichwa (Ocotea quixos), è una pianta di cui si usa principalmente il calice del frutto, detto sombrero per la sua forma caratteristica, per fare infusi, aromatizzare cibi e per la colada morada, bevanda consumata per il giorno dei morti. Dalle sue foglie invece si ottiene un pregiato olio essenziale e per questo motivo attualmente è molto difficile riuscire a trovarne i semi, poiché spesso viene potata prima di poterli produrre.
Quindi quando Jeyson, responsabile del vivaio di Casa Bonuchelli, ci ha comunicato che saremmo andati a cercare e raccogliere i semi non mi sono stupita più di tanto.
Il vivaio di Casa Bonuchelli infatti si occupa da anni di riforestazione producendo piantine di alberi locali da frutto e da legna da consegnare alle comunità limitrofe, in modo che le possano piantare nelle loro chakra traendone anche beneficio.
Io e Chiara collaboriamo ormai da mesi in tutte queste fasi del processo, dalla ricerca dei semi fino alla consegna delle piante.
La raccolta dei semi è uno dei momenti più complessi del processo in quanto si deve pianificare bene il momento di cosecha (raccolta), che varia di anno in anno a seconda del clima, e individuare l’albero semillero. Per questo motivo, quando Jeyson ci annuncia che ha localizzato il posto dove andare a raccogliere i semi, tiriamo un sospiro di sollievo e l’uscita viene programmata per il giorno seguente.
La giornata inizia come ogni mattina, con il sonno ancora addosso e il silenzio spezzato solo da poche parole scambiate in cucina per segnalare la propria presenza. Io e Chiara ci infiliamo gli stivali, ci facciamo una doccia nel repellente per le zanzare e saliamo sul furgoncino. Il piano della giornata non ci è ancora del tutto chiaro, ma Jeyson ci comunica che ci guideranno Dary, responsabile di Amunkina, un’associazione di vivai gestiti da sole donne kichwa, insieme ad alcune socie.
Ci dirigiamo verso la sede dell’associazione dove incontriamo Dary e Maria che ci conducono di fronte a una piccola casa di legno, dove ci corrono incontro due bambini che quando scorgono i nostri volti si bloccano sorpresi, scrutandoci con occhi incuriositi, ma diffidenti. Poco dietro li segue la mamma, il padre e il nonno, loro sono i proprietari della finca (proprietà terriera) dove andremo a raccogliere i semi. Ecco, ora siamo al completo, possiamo finalmente partire.
Andiamo quindi verso la comunità di Ahuano, dove dobbiamo prendere una gabarra (chiatta) che ci consentirà di attraversare il fiume con il furgoncino. Il nostro entusiasmo però viene smorzato subito dal primo imprevisto, infatti al nostro arrivo l’imbarcazione ci viene incontro avvolta da un fumo nero.
“Il motore è danneggiato”, ci comunica Jeyson, “dobbiamo aspettare che venga riparato e ci vorrà almeno un’ora”. Le sue parole rimbombano nelle nostre orecchie come l’eco del tuono che preannuncia l’inizio di un temporale. Pochi secondi dopo si scaglia infatti una pioggia battente che caratterizza ormai ogni giornata qua in Amazzonia.
Io e Chiara ci guardiamo rassegnate, ormai in questi mesi abbiamo capito che il modo migliore per affrontare le giornate è munirsi di buona pazienza e aspettare. Qua è meglio sempre essere pronti ad ogni imprevisto, non è infatti così raro che una frana, un temporale particolarmente forte o un guasto possano causare un’interruzione delle comunicazioni provocando così l’isolamento temporaneo di alcune comunità.
È ormai quasi ora di pranzo, quando ci comunicano che il guasto è stato riparato, possiamo finalmente attraversare il fiume. Maria ci viene incontro con un entusiasmo contagioso guardandoci ed esclamando: “siete pronte per l’avventura? Si parte!”. L’entusiasmo rimane alto anche se nel volto di Jeyson si scruta un velo di preoccupazione, è già tardi e non sappiamo esattamente ancora quanto ci vorrà per raggiungere il punto d’arrivo.
Mentre finalmente la pioggia sembra placarsi saliamo sulla piccola imbarcazione, che con pacatezza, come se fosse solo trascinata dalla corrente, ci porta dall’altra parte del fiume. Ci accomodiamo sul cassone del furgoncino stringendoci forte al parapetto e iniziamo così a inoltrarci nella foresta lungo una strada sterrata che a detta delle nostre guide ci condurrà vicino alla nostra destinazione.
È la prima volta che passiamo di qua, e come mi capita ogni volta in Amazzonia, rimango incantata dal paesaggio circostante, la bianca strada sterrata buca infatti la fitta foresta che ci circonda. Guardando meglio ciò che mi circonda mi rendo conto che al verde vivido della vegetazione fanno da contrasto i fiori gialli del Tamburo (Vochysia leguiana), albero utilizzato spesso per il suo legno. Poco più avanti invece si scorgono varie piante di Bambù guadua, palme di chonta con le loro spine affilate, la balsa ( Ochroma pyramidale ) caratteristica per avere il legno più leggero al mondo e tantissime altre specie per me ancora difficili da riconoscere.
Ai margini della strada invece incontriamo varie famiglie a piedi cariche di sacchi pieni di rifornimenti che stanno portando nelle loro comunità e ci fanno un cenno per chiedere un passaggio. Jeyson si ferma per caricarli senza troppi scambi di parole, come se ci fosse un accordo implicito di sostegno. Le macchine che passano di là non sono molte e il percorso è lungo ed estenuante. Ed è così che da solamente io e Chiara nel cassone dell’auto ci troviamo ad essere in 10, impegnati a trovare l’incastro perfetto in modo tale da non essere sbalzati fuori dall’auto. Solo i bambini si godono il tragitto non curanti del pericolo sporgendosi dal parapetto per ricevere il vento in faccia. Dopo svariati chilometri circondati solo dalla fitta vegetazione e le ossa tremolanti per le vibrazioni date dalla strada dissestata, vediamo un cartello riportante la scritta “Nuevo Mundo”, questo è il punto d’arrivo dei nuovi passeggeri che scendono ringraziandoci e si inoltrano nella foresta.
Manca ancora parecchio all’arrivo, quando ci imbattiamo in un fiume che ci obbliga a fermarci. L’acquazzone della mattinata ha portato il suo innalzamento, non possiamo attraversarlo con la macchina, è troppo profondo e la corrente troppo forte, si rischierebbe di essere trascinati a valle. Seduto lungo il fiume c’è un uomo, che ci avverte che abbiamo mancato per poco un’imbarcazione e non si sa quando e se ne passerà un’altra.
Non ci resta che attraversare a piedi il fiume, ormai siamo arrivati fino a qua e non avrebbe senso arrendersi proprio ora. Solo il nonno dei bambini, il più anziano, decide di fermarsi ad aspettare la lancia, mentre tutti noi ci mettiamo in fila tenendoci per mano, in modo da sostenerci a vicenda contro la corrente. Io e Chiara ci lanciamo sguardi perplessi, ma siamo anche incuriosite ed entriamo così senza troppe esitazioni nel fiume. Dopo pochi passi ci accorgiamo che gli stivali non sono abbastanza lunghi, l’acqua si sta facendo sempre più alta fino a bagnarci tutti i pantaloni ed a insinuarsi negli stivali che ora sembrano zavorre. Passo dopo passo lottando contro la gravità dell’acqua e la corrente riusciamo però a raggiungere l’altra sponda. Svuotiamo gli stivali e ripartiamo, la strada è ancora lunga e le ore di luce rimaste sono poche.
Lungo la strada chiacchieriamo con le nostre guide che ci raccontano aneddoti e leggende legate alle piante che incontriamo, i bambini invece corrono per stare in prima linea, nonostante il percorso risulti difficoltoso a causa di altri numerosi fiumi da attraversare a piedi, fango e vegetazione impervia. È evidente che sono abituati molto più di noi a camminare per ore sotto il sole e a stare a stretto contatto con la natura.
Dietro di noi ci supera un gruppo di bambini che sta tornando a casa da scuola, ogni giorno percorrono quella stessa strada tra fango e acqua per poter avere diritto all’istruzione.
Tra fatica e risate raggiungiamo un’altro fiume ancora più grande, anche questo si è ingrossato in seguito alle piogge della mattinata. Le nostre guide gli lanciano un’occhiata e affermano senza esitazione che non possiamo attraversarlo a piedi perché il livello dell’acqua si sta alzando ulteriormente. La preoccupazione di non riuscire a raggiungere la nostra meta aumenta sempre di più anche se viene attenuata dal mio stupore per la loro capacità di decifrare sempre così bene l’ambiente circostante.
L’entusiasmo si accende in tutti i nostri volti, quando nel fiume si scorge in lontananza una piccola imbarcazione, finalmente la fortuna sembra girare dalla nostra parte. A condurre la lancia ci sono due ragazzini; non gli è rimasta molta benzina, ma aiutandosi con la corrente possono accompagnarci fino alla finca.
Sollevati dalla buona notizia iniziamo così a salire sull’imbarcazione, stringendoci in modo da bilanciare il peso, ma siamo comunque in tanti e la barca dà segni di instabilità. Quasi subito, infatti, ci accorgiamo che è stato un po’ un azzardo salire tutti, il fiume infatti è impetuoso e ci sono rocce affioranti sulle quali andiamo a sbattere. La barca si inclina lateralmente e l’acqua inizia ad entrare con veemenza, afferriamo gli zaini per evitare che vadano persi nel fiume e proprio quando la caduta sembra ormai inevitabile, la barca torna in posizione orizzontale. Maria urla con eccitazione: “Viva l’avventura, aventureras!”, mentre tiriamo un sospiro di sollievo.
Pochi metri più a valle scorgiamo un signore anziano seduto su un masso in riva al fiume, è il nonno dei bambini, questo vuol dire che siamo finalmente arrivati a destinazione.
Scendiamo dalla barca e percorriamo il piccolo sentiero attraverso il bosco che ci porta davanti a una palafitta di legno dalla quale esce una signora anziana che ci dà il benvenuto.
È giunto il momento di raccogliere i semi di Ishpingo, vero motivo per il quale abbiamo fatto tutto questo viaggio.
La signora anziana ci guida lungo la chakra, nonostante l’età avanzata che la costringe a stare chinata quasi a 90 gradi, si muove con molta dimestichezza e velocità dando prova di conoscere perfettamente i suoi territori. Percorrendo la chakra passiamo vari alberi da frutto e varie specie forestali, fino a giungere all’albero di Ishpingo più grande. Ce ne sono altri, ma non hanno ancora raggiunto la grandezza tale per poter produrre semi, cosa che avviene dopo circa 20 anni.
Ci soffermiamo ad ammirare la grande chioma dell’albero, è enorme e si staglia sopra tutte le altre piante. L’incanto svanisce nel momento in cui realizziamo che i semi si trovano nei rami più alti, rendendo sempre più complicata la loro raccolta. Jeyson però afferra prontamente una scaletta di legno con i gradini traballanti e inizia ad arrampicarsi con scioltezza, d’altronde come ci ha raccontato più volte, nelle comunità sono consueti scalare gli alberi fin da bambini.
Inizia così la pioggia di semi che cadono come una manna dal cielo sopra le nostre teste. Corriamo subito a raccoglierli facendo a gara con i bambini a chi ne prende di più, dimenticandoci per un momento di tutta la stanchezza.
Nel frattempo la famiglia si mette a preparare un maito di tilapia, mais, yucca bollita e chicha per tutti. Dary raccoglie un frutto di achote (Bixa orellana), pianta usata come colorante naturale, e inizia a dipingere la mia faccia e quella di Chiara con disegni tipici delle popolazioni kichwa. I bambini invece si tuffano nel fiume giocando con la corrente.
Il divertimento viene però interrotto presto, non c’è tempo da perdere dobbiamo rimetterci in cammino subito se non vogliamo rifare tutto il viaggio di ritorno al buio.
Salutiamo a malincuore quel luogo magico avvolto dalla tranquillità e ci mettiamo in marcia osservando gli ultimi raggi di sole svanire nei riflessi del fiume.
Percorriamo il resto della strada al buio guidati solo dalla luce della luna, lungo quella stessa strada che ormai ci sembra familiare fino a raggiungere, dopo ore, la macchina. Io e Chiara ci sediamo sul cassone dell’auto e osserviamo il cielo stellato con in faccia un sorriso di soddisfazione. Chi lo avrebbe mai detto che sarebbe stato così complicato procurarsi dei semi di Canela Amazonica?
Lo sforzo però ne è valso la pena, i semi aiuteranno a preservare questa specie e a riforestare le chakra delle comunità locali dandogli anche un sostegno economico. Non rimane che passare alla loro semina in vivaio per aspettarne la germinazione e curarne la crescita finché non saranno pronti da essere consegnati.