Mercoledì 2 ottobre, il presidente dell’Ecuador Lenin Moreno ha proposto riforme per migliorare l’economia del paese. Un adattamento economico che ha mobilitato migliaia di persone nella capitale Quito. È più di una settimana che il paese vive in uno stato di eccezione. Lo squilibrio economico dell’Ecuador non è nuovo: già nel 2016 (ultima fase del mandato di Rafael Correa) sono state segnalate raccomandazioni che suggerivano un assertivo adeguamento fiscale per preservare la stabilità macroeconomica e finanziaria del paese a causa della instabilità tra spese esistenti e reddito in questa economia dollarizzata. Il governo correista decise in quel momento di riservare queste informazioni. Gli accordi stipulati dal governo ecuadoriano con il Fondo monetario internazionale (FMI) richiedono dalle casse pubbliche un’ottimizzazione economica dell’1,5% del loro PIL attraverso riforme fiscali in cambio della concessione di oltre 10.000 milioni di dollari di finanziamento nei prossimi tre anni. Ricordiamo che il FMI, come ci insegna l’attuale caso dell’Argentina, opera per i suoi interessi e non per lo sviluppo del Paese. L’opzione scelta dal governo ecuadoriano è sembrata la meno conflittuale. In questo modo, il presidente Lenín Moreno ha decretato la fine dei sussidi, il che ha implicato un notevole aumento del prezzo della benzina “extra”, passando il gallone da 1,45 a 2,41 dollari. Allo stesso modo, la benzina Eco País (extra con etanolo) da $ 1,45 a $ 2,53 e Super da $ 2,3 a $ 3,07. Successivamante il popolo ecuadoriano si è trovato un una situazione già vissuta in passato, durante “década perdida” (a seconda del paese, sono gli anni degli adattamenti neoliberali), il cosiddetto “pacchettone” è come un salto indietro.
I numeri parlano chiaro: 40 anni di democrazia dopo la dittatura, 3 costituzioni e 7 diversi presidenti prima di Rafael Correa.
Il popolo ecuadoriano ha memoria, memoria storica. E in questi giorni di manifestazioni lo han dimostrato.
Le marce pacifiche, i feriti e i morti da parte dei militari, gli scioperi… lo stato non risponde correttamente. Al contrario. Moreno, noto a livello ecuadoriano come “traditore” di Correa, si ritira a Guayaquil con i ministri e sposta il governo nella città roccaforte della destra ecuadoriana impresariale, dimostrando così una grande debolezza politica. Inoltre per giorni non ha voluto discutere con gli indigeni che stavano marciando verso Quito, nessun passo indietro. In questa settimana, lo stato di diritto non è esistito. Le persone hanno dimostrato solidarietà, una forza emotiva e un ricordo di ciò che non vogliono ripetere, che ha attirato la mia attenzione. Il popolo ecuadoriano sa che tutti saranno colpiti e vuole essere salvato.
Per quanto riguarda Tena, capitale della provincia del Napo (tra cui il 56,8% della popolazione si identifica come indigena; censimento del 2010) la situazione è relativamente calma. Alcune strade chiuse, gomme bruciate e la rotonda Jumandy (punto focale del traffico per auto e camion) sono stati completamente bloccati.
Ieri il governatore è stato sostituito da Patricio Shiguango, presidente della FOIN (Federazione delle organizzazioni indigene del Napo), un chiaro messaggio delle comunità indigene della provincia. In questa città amazzonica, il tempo scorre più lentamente in tutto, e ciò che accade nelle grandi città sembra arrivare più tardi. Sebbene la città sia piccola, la mobilitazione è forte e il buon senso popolare è grande. Tutti si conoscono e marciano tutti insieme, dai Wawas (bambini nella lingua kichwa) ai più
anziani. Questo governo non ha mai conosciuto una così bassa impopolarità, queste proposte neoliberali possono firmare la conclusione del governo di Lenin Moreno, che in realtà soffre i manifestanti, parte del successo di Correa nel suo primo mandato. In questo momento, mentre aspettiamo altri segnali, dobbiamo ascoltare i litigi tra il Signor Moreno e l’ex presidente Correa.
Davide Gazzi